La spirale


Era distesa sul pavimento da qualche minuto. Decisi di uscire da quella stanza per cercare refrigerio e mi versai della vodka in un bicchiere: avevo bisogno di qualcosa di forte. Feci quel gesto tre volte, quasi automaticamente. Il numero tre aveva sempre esercitato su di me un fascino particolare. Non ne conoscevo le ragioni. Quello che sapevo per certo era il motivo per cui avevo deciso di sferrarle quelle tre coltellate.


La spirale di violenza sembra inarrestabile. Percorrere da solo una strada del centro dopo le venti, può diventare l'ultima azione della propria vita. L'odore di piombo e di morte si presenta ai sensi con frequenza preoccupante. Le masse sono in rivolta e le sacche di resistenza seminano terrore ovunque. La tensione sociale è al culmine: gli scioperi non si contano più; le assemblee di studenti e operai sono all'ordine del giorno; gli omicidi di politici, giornalisti, carabinieri non fanno più notizia. Nessuna distinzione. L'unica via è la lotta armata. Questo il messaggio di quei gesti. Trovo queste faccende terribilmente patetiche, non mi interessa cercare un nuovo orizzonte politico, l'unica cosa che mi rallegra è il mio lavoro. Già il mio lavoro. Cinque anni fa sono entrato a far parte della divisione amministrativa di una importante azienda alimentare. Cinque anni impeccabili: nessun giorno di ferie, nessuno di malattia, figuriamoci l'idea di scioperare! Mai una defezione. Per questa mia devozione sono entrato nella lista dei Fedeli alla causa. La causa è quella di rendere la produzione più efficiente e i prezzi più competitivi: “Solo così potremmo, un giorno, sconfiggere la fame nel mondo”, ripeteva in continuazione il nostro redeglispaghetti! Per questo ambìto traguardo ho ricevuto dalle mani del mio diretto superiore una piccola targa a testimonianza del mio impegno.
“Caro Osvaldo lei porterà alto l'onore della nostra azienda anche all'estero”, queste le parole di rito pronunciate senza tradire la benché minima emozione.
Come ogni venerdì sera percorro la strada che separa l'ufficio da casa, passando per via De Gasperi. Abito in un appartamento al quarto piano di un palazzo antico, un bel posto. Decisamente. Mia moglie dice sempre che la sua vita è come un film fermo all'intervallo fra il primo e il secondo tempo: “Solo con una casa tutta nostra la mia vita potrà ripartire”. Non ci faccio caso. La signora Miranda è la proprietaria del negozio di alimentari all'angolo con via Morganti. Mi aspetta come ogni venerdì sera. Sa che faccio la spesa per il fine settimana. Prima di salutarmi la signora ha già riordinato tutti i pacchi di pasta sugli scaffali, sa che a me piace l'ordine. Non sopporto vedere i pacchi di pasta non allineati. A volte mi capita anche di risistemare gli spaghetti già arrotolati sulla forchetta; il mio corpo non accetterebbe spaghiribelli. Compro le solite cose, e come al solito, prima di acquistare l'ammorbidente per il bucato, devo svitare il tappo e sentirne l'odore: “La pulizia è il naturale corollario dell'ordine”, mi ripeteva sempre mia madre. Mi trovo ormai sotto casa, saluto Fausto, il portiere, una vera sicurezza da queste parti, si ricorda tutto, ha una memoria di ferro, custodisce amorevolmente tutti i segreti del palazzo. Si leggono spesso nelle sue espressioni tratti di alterigia. Conosce il valore della sua memoria. Potrebbe ricattare chiunque e noi condomini lo sappiamo. Gli offrirò da bere fino a farlo svenire e, prima di riportalo a casa mi farò confessare tutti i più sordidi segreti, conservati da questa divisa, mi dico.

Nel corridoio di casa il mio sguardo incrocia una borsetta, non mi sembra di ricordare niente di simile. Provo ad aprirla: un pacchetto di sigarette e una spirale. Mia moglie non usa contraccettivi e non fuma da più di dieci anni. Una strana eccitazione mista a curiosità comincia a farsi spazio tra le mie vene. Trovo la porta della camera da letto socchiusa. Entro. La scena mi si presenta davanti come un film amatoriale girato in un casolare di campagna nei dintorni di San Farncisco. Mia moglie muove la testa con vigore, incastrata fra le cosce di una sconosciuta! L'odio investe il mio abituale autocontrollo.

Da quel maledetto venerdì del '77 sono ormai passati 35 anni. Anni disperati. Passati in una stanza grigia tre metri per due, a cercare costantemente il quinto angolo: comeunoscarafaggioimpazzito. Quella è la vita che si fa lì dentro, da scarafaggi impazziti. Accecati dalla mancanza di spazio, dove l'eroina diventa il tuo unico vero materasso.
Mi consegnano i miei effetti personali e mi aprono il portone del carcere, non mi salutano, non hanno simpatia per i tipi come me. Le antipatie in carcere spiccano subito e pesano il doppio. Non risparmiano nessuno e durano fino alla fine. Il mio saluto è tutto per loro. Ripercorro via De Gasperi. Piove a dirotto. Sembra strano ma quando sei fuori ti viene voglia di berla, senza mediazioni tra te e il cielo.
All'angolo di via Morganti niente più negozio, chissà che fine avrà fatto la signora Miranda, mi chiedo. Al suo posto un negozio con piccole locandine di film, non c'e' più nemmeno la porta d'entrata con quel suo suono tanto familiare; solo uno sportello. Proseguo. Con sgradito stupore mi accorgo che il mio vecchio palazzo in stile tardorinascimentale non esite più, perlomeno non come la mia memoria lo ricordava, oggi all'altezza del quarto piano campeggia una scritta luminosa: Multisala Arcobaleno. Entro e trovo altre locandine di film - questa volta a grandezza normale - dai titoli più improbabili: La promozione, La spesa del venerdì, Uxoricidio. Compro il biglietto e decido di entrare. In sala l'atmosfera è glaciale, un solo posto libero. Il film è già quasi verso la fine, si vede un uomo che, in preda ad un raptus di follia, uccide la moglie - con tre coltellate ben assestate nei punti vitali - trovata a letto con un'altra donna. Il carcere sembra prolungare la sua tortura - un'idea che mi ossessiona già da qualche anno.

Esco dalla sala e madido di sudore, urlo al bigliettaio: “Ma qui state proiettando la mia vitaa!!”.
“Ma cosa c'è da urlare così”, replica il bigliettaio appoggiato alla cassa “si calmi! E' da anni ormai che succede la stessa cosa ad ognuno di noi”.
“Che cosa intende dire” rispondo sempre più confuso.
“Ma in che mondo vive! Non lo sa che l'Ufficio per la sicurezza internazionale ha inserito all'interno della spirale del DNA di ognuno di noi, un numero imprecisato di pixel! Così tutti possono gustarsi in prima fila la vita degli altri, attraverso lo sguardo del protagonista di turno”.
“Ma così siamo controllati attimo per attimo!” controbatto quasi senza fiato. “E' vero, ma guardiamo il lato positivo: le proiezioni sono sempre TUTTE ESAURITE”.

FINE

Racconto apparso nella raccolta “Scrittori per caso”. Adattamento radiofonico a cura della Rete Uno della Radio svizzera italiana.

Qui potete ascoltare i racconti con l'adattamento radiofonico.

2 commenti:

Un racconto inquietante ... che mi ha fatto ripensare a 1894 di George Orwell..

Simo

mi capita sempre di fare inversioni meno male non sono contabile!
.. sorry .. volevo dire 1984 ...
simo

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