Qualche giorno fa, sfogliando un settimanale culturale, ho letto queste parole:
Assegnare il titolo di disco dell’anno a settembre forse è prematuro, (…). In questo caso, però, vale la pena di sbilanciarsi “Life In Slow Motion” di David Gray è quanto di più riuscito mi sia capitato di ascoltare negli ultimi mesi. (Seguono inutili giustificazioni). Un cd perfetto, dalla melanconica “Alibi”, al coinvolgente singolo “The One I Love”, dall’ottima “Ain’t No Love” a “Now & Always” e “Disappearing World” in cui tutto il talento di Gray emerge in maniera prorompente.
Avete letto? Ecco, ora dimenticate tutto, forza. È un pezzo farneticante scritto per i fan dell’ultima ora. Non c’è una sola parola che corrisponda alla mia verità (come direbbe papa Ratzi). Non ce la faccio, non riesco ad essere d’accordo con la tesi strombazzata in questo articolo che per benevolenza non vi ho trascritto interamente (mi dovreste ringraziare). Al di là dei toni trionfalistici mi chiedo che cosa abbia ascoltato (o che cosa abbia bevuto) il giornalista, che peraltro nemmeno si firma. Il disco di David Gray è noioso e monocorde. Le canzoni non si segnalano per originalità nella struttura, per ricchezza negli arrangiamenti e nemmeno la voce di David mi sembra particolarmente valorizzata. Certo è un disco omogeneo, ma non ci vuole molto visto che le canzoni sono tutte uguali.
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