Il libero mercato

Cercare lavoro è un lavoro. Purtroppo è un lavoro non pagato. È un po’ come fare la casalinga, stesse frustrazioni e medesime ricompense.

È molto faticoso scrivere una lettera di motivazione che catturi l’attenzione del futuro (quanto improbabile) datore di lavoro. Le gocce di sudore scorrono copiose se si vuol redigere un curriculum come dio comanda, e poi bisogna pure pensare alla propria immagine. Non è indice di alta intelligenza sociale andare ad un colloquio in ‘Diesel’ senza un orecchino o senza un enorme tatuaggio in bella evidenza sul bicipite scolpito. Così come se si va in banca sarebbe buona cosa presentarsi con bel vestito gessato, magari con cravatta regimental da bancario-precario.

Se poi la fortuna ti assiste e ti chiamano per un secondo colloquio i problemi si fanno seri. Non solo l’apparenza, ma anche la sostanza: bisogna saper parlare con una buona proprietà di linguaggio (magari in due o tre lingue) dando l’impressione di saperne a mazzi. Naturalmente senza far trasparire la minima emozione, l’agitazione in una situazione di stress non viene vista con clemenza. Il linguaggio del corpo deve essere consono alla situazione. Niente gambe accavallate, niente braccia conserte, niente mani nei capelli e soprattutto, mai, dico mai, toccarsi il naso.

Nei casi in cui si dovessero pure affrontare degli esami stile “questionario dei tre giorni” allora la fantascienza diverrebbe realtà. Cercare di rispondere alle domande senza sbellicarsi dalle risate è in buona sostanza impossibile.

Una persona che cerca lavoro deve fare tutte queste cose, ma uno che il lavoro te lo propone ne fa volentieri a meno. Gli imprenditori fanno un gran parlare di aziende basate sulla conoscenza (o knowledge based come dicono quelli veri), di comunità di pratiche, di piattaforme per la circolazione della conoscenza, di software adattivi e di sistemi intelligenti. Il tutto per essere coerenti con la filosofia e con la mission aziendale (come dicono sempre quelli).

Ma quando mandi una candidatura ad un’azienda che fa della conoscenza il proprio tratto distintivo e ricevi una risposta del genere:

Buon giorno Sig. Capobianco,

con riferimento alla sua candidatura, la preghiamo di contattarci telefonicamente per fissare un'incontro conoscitivo.

Nell'attesa, la salutiamo cordialmente.


ti chiedi davvero: “ma questo mi prende per il culo? Ha scritto due righe ed è riuscito a piazzarci uno strafalcione grammaticale, ma quale conoscenza vuole trasmettere? Non aveva molte possibilità per fare errori eppure c’è riuscito, con una precisione da fare invidia ad un cecchino”.
Secondo voi con che faccia posso andare a questo un’incontro, non sono bravo a nascondere il mio stato d’animo. Forse è meglio rinunciare del tutto, oppure posso andare e dirgli quello che penso di lui e della sua azienda. Mi riguardo Santa Maradona e prendo appunti.

6 commenti:

Concordo :-) aggiungerei anche di non mettersi le dita nel naso al colloquio, almeno per i primi cinque minuti...
Seconde me potresti tentare il grande salto e dirgli quello che pensi veramente della loro azienda, ovviamente in modo pacato:-) Non si sa mai ... ma puo darsi che un golpo boggo del genere possa venire apprezzato, inoltre una volta lanciato
ti muoverai con piu scioltezza e sicurezza; sarai padrone della situazione . E chissa... magari non noteranno il tuo mignolo che con timida sicurezza scarichera il tuo stress...
nel naso :-).
Auguri qualunque scelta farai. :-)

trobly1000

Mi farò valere!!

Curiosità ..
Ma alla fine ci sei andato al colloquio?

Simo ci vado il 16 di settembre, tienimi i pugni...

Bravo Matteo Ben scritto, e ben sentito, spero che tu ora un lavoro ce l´abbia, ho or ora conosciuto il tuo blog (attraverso Haramlik) e quindi non sono aggiornata sul tuo attuale stato di lavoro. Vivo a Milano e sto ri-cercando lavoro (causa crisi, l´ho perso), ´na faticaccia nera, molto demotivante nn ricevere neppure - di tanto in tanto - una risposta, almeno una negativa. Gli eventuali datori di lavoro: alla fine e all´inizio si rivelano maleducati un po´ arroganti, come se il bisogno non fosse reciproco. Ma tanto, ora, nel 2009, abbiam trovato il capro espiatorio: la crisi. Tanti saluti.

in effetti ora lavoro, un'odissea per trovarlo che non ti dico (l'ho scritto da qualche parte qui). spero davvero che tu possa trovarlo al più presto. un abbraccio e resisti!

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