A scuola dai bambini

Io, stare insieme a due bambini bielorussi, una cosa che ho imparato, quest'anno, a parte il russo che adesso dire mare casa e gelato non mi frega nessuno, ho imparato, dicevo, soprattutto quest'anno, forse perché di bambini da Chernobyl quest'anno ne son venuti due, a dimenticarmi di me stesso, ho imparato, a non pensare ai miei bisogni e a pensare prima di tutto ai loro.

Allora succede che se decidi di andare al mare o al parco o a mangiare una pizza non lo fai mica per te, che magari ne hai voglia niente, anche della pizza dico, lo fai pensando al meglio per loro, al fatto che si divertano e siano felici. Il più possibile. E la cosa incredibile, che ho imparato, da questi due bambini bielorussi, non è tanto il fatto in sé di mettere in secondo piano i miei bisogni e mettere le loro esigenze prima di tutto, la cosa stupefacente, che ho imparato, è che una cosa del genere ti sembra del tutto normale, per essere felice.

Abbagli quotidiani

Un'idea a cui penso spesso, che mi pare una delle idee più belle del mondo, è quella che scrive Paolo Nori nella postfazione del libro Vite sbobinate e altre vite di Alfredo Gianolio. L'idea che c'è lì dentro fa così:

Quando Chruščёv, di ritorno dagli Stati Uniti che gli eran piaciuti i pop corn ha pensato di coltivare a gran turco una vasta zona del territorio sovietico senza considerare che lì il gran turco non ci cresceva, è stato un anno di grande carestia.
O quando Gorbčёv ha deciso di vietare gli alcolici in Russia che è stato l'inizio della fine dell’Unione Sovietica. Non so, la storia degli abbagli, secondo me, delle teorie che si son rivelate tutte sballate, delle decisioni revocate poi subito immediatamente perché eran disastrose, forse qualcuno l’ha già fatta, se qualcuno l’ha già fatta ha fatto un bel lavoro, se non l'ha fatta nessuno sarebbe una cosa da fare.

Ecco io, la storia degli abbagli ci penso spesso e quando ci penso poi penso che sarebbe bello farne anche una degli abbagli più piccoli, quelli che ti capitano tutti i giorni, quelli quotidiani.
Per dire io l'altra mattina uscivo di casa, quando la mattina esco di casa di solito davanti a me c'è sempre una ragazza che abita lì vicino che la mattina esce trenta quaranta secondi prima di me, poi facciamo un breve tratto di strada io dietro lei davanti, lei non so poi prende l'autobus forse va all'università forse va al lavoro, comunque questa ragazza è una bella ragazza alta con dei gran capelli lunghi, lisci e castani, ci ha questo vizio, sotto la giacchetta esce sempre una maglioncino lungo molto attillato che finisce a coprire tutto il culo.
Allora ieri pensavo che questa ragazza come molte ragazze si preoccupa che ci ha il culo troppo grande, allora per coprirlo ci mette sopra un maglione lungo attillato così dice il culo non si vede al naturale che al naturale mi sembra che sia troppo grande. Io devo dire a lei e a tutte le ragazze che fan così, che questo è proprio un abbaglio, uno di quelli piccoli, quotidiani, che ci sarebbe da fare una storia anche su quelli, ché io la mattina quando esco, e trenta quaranta secondi prima di me esce questa bella ragazza alta con dei gran capelli lunghi castani e lisci, tutto il tempo del breve tragitto, guardo solo il culo.


Steve Jobs mi ha cambiato la vita

Io, se devo dire Steve Jobs mi ha cambiato la vita, non ho neanche un ipad non ho neanche un imac, ho solo un iphone, io non è che abbia tanti argomenti per dire Steve Jobs mi ha cambiato l'esistenza.
Quello che però devo dire, è che uso di molto l'iphone, e tra tutte le applicazioni, tra tutti gli ebook, tra tutti i giochi, tra tutte le comodità, una roba che mi piace davvero tanto, forse quella che mi piace di più, è fare una cosa vecchia con una modalità nuova. Far la cosa vecchia è ascoltare la radio, quella che una volta si ascoltava colle modulazioni di frequenza, e invece adesso basta che premi un tasto e l'ascolti in un modo che solo dieci anni fa nessuno pensava.
Allora io la mattina, quando faccio colazione, quando sono in bagno, schiaccio il mio bottone e mi ascolto Radio Città del Capo che è una radio alla quale io sono molto affezionato, che mi ricorda Bologna e tutto quello che è successo quando passavo del tempo a Bologna. Far questa cosa ovviamente, con le modulazioni di frequenza potevo tanto sognarmela, che tra casa mia e Bologna chilometro più chilometro meno saranno trecentocinquanta.
E a me, questa cosa della mattina che mentre mi faccio la barba, mentre faccio la doccia, mentre mi vesto, sento la musica e le notizie di Radio Città del Capo, voi non sapete quanto mi fa felice. Che iniziare la giornata con i problemi che ti stanno proprio vicini, quasi dentro casa, come se ascoltassi Rete uno per dire, sarebbe un'angoscia, che poi avrei paura ad uscire di casa. Invece ad ascoltare Radio Città del Capo mi sembra di vivere in un altro mondo, in un mondo senza problemi in qualche modo al riparo dalle catastrofi. Sempre che non segua alla lettera le previsioni del tempo.


Auschwitz Birkenau [reprise]

[Ho cercato di metter giù le emozioni dopo la visita ai lager nazisti di Aschwitz, niente da fare, come se ogni parola non fosse mai piena abbastanza, per questo riporto il testo elena che ha trovato il modo di descrivere l'orrore]

So che non dovrei scrivere un post a caldo, perchè non saprò essere lucida nel ricostruire le cose importanti, ma vado a impressioni, e corredo con un po’ di foto. Prendiamo un autobus da Cracovia alle 8,30 di mattina, 40 zloty (10 euro) per 2 persone A/R, un’ora e mezzo di viaggio. È una piacevole giornata di sole, e fa anche caldo. Arriviamo ad Oswiecim, il nome polacco di Auschwitz, attraversando una bella campagna costellata di casette colorate e ordinate. Notavo oggi che ogni casa è caratteristica, nessuna è uguale all’altra, un colore, una forma, un fregio. E innumerevoli diverse tendine bianche. Anche Auschwitz si presenta come un luogo ordinato e ben tenuto. Io e Matteo ci siamo detti che lo è anche troppo. Lo dico subito, perchè è la convinzione più forte che ne abbiamo tratto: non andate mai ad Auschwitz senza andare a Birkenau. L’uno, senza l’altro, non è comprensibile. Auschwitz è in gran parte un museo, all’interno degli edifici sono state realizzate ricostruzioni delle baracche e mostre, anche impressionanti. Mi ha colpito molto, ad esempio, una stanza chiusa da una vetrata, colma dei capelli di donne, e un tessuto realizzato con questi capelli.
Sono terribili anche "il muro della morte", luogo in cui venivano realizzate le esecuzioni, e la camera a gas sperimentale, nei sotterranei del blocco 11, dove per la prima volta venne utilizzato il gas Ziklon b. Non abbiamo visitato tutte le esposizioni curate dalle singole nazioni, perchè abbiamo ritenuto di andare prima a Birkenau e poi eventualmente tornare se fosse rimasto tempo. Ma Birkenau è "troppo" enorme.
Andiamo con ordine: abbiamo preso un taxi davanti al museo di Auschwitz, perchè l’altro campo è a 3 km. 15 zloty di taxi, valgono la pena, perchè a Birkenau c’è da camminare tantissimo, meglio conservare le energie. 8 km di strade interne, più di 170 ettari, 98 edifici, 300 ruderi, bisogna percorrerli perchè qui, a parte le baracche e le altre parti distrutte o dai tedeschi, o dai polacchi, o dall’unica rivolta ebrea nel campo (venne distrutta la camera a gas IV), è tutto ancora come era.
Appena arrivati è bene salire sulla torre principale, e vedere fino a dove arriva l’occhio, che non è tutto il campo di Birkenau, perchè in fondo, oltre il boschetto, ci sono ancora 2 camere a gas, la "sauna" (luogo in cui i prigionieri venivano spogliati e lavati al loro arrivo), e ci sono anche parti che erano in costruzione e non sono mai state completate. Birkenau è rude. Marzo non è considerata stagione di visita e quindi molte baracche erano chiuse, ma dalle finestre si vede che tutto è rimasto come era.
Il settore delle donne è fatto di stanzoni di mattone, sono una trentina. Passiamo al centro del settore donne, lungo un ampio viale, percorrendo circa 500 metri. In fondo c’è il primo forno crematorio con camera a gas, totalmente distrutto, ne restano solo le rovine, e le tavolette bianche attorno, che testimoniano il passaggio di famigliari e amici degli uccisi, quasi tutte in lingua ebraica. Si va verso destra e si arriva davanti al monumento ai caduti, e alla tristemente famosa fine del binario.
Sulla destra un’altra camera a gas con forno crematorio, la III. Di questa la pianta è molto chiara, si vede la scala di ingresso, l’ampio spazio per lo spogliatoio, e la zona dei forni crematori. A questo punto, se non avessimo comprato una guida, saremmo tornati indietro passando attraverso il settore uomini, e invece, proseguendo dietro il monumento, dopo il boschetto, vi sono altre due camere a gas, una delle quali distrutta da una rivolta interna, e l’edificio "Sauna", dentro il quale è conservata una carriola per il trasporto delle ceneri. Dopo l’edificio Sauna, abbiamo preso la strada del ritorno, un viale di ghiaia bianca che costeggia il settore uomini. Dietro di noi, nel frattempo, stavano arrivando dei nuvoloni neri, e ci è parso meglio non soffermarci oltre, in più avevamo le gambe e la testa stanchi, per cui ce ne siamo andati, fissando le ultime immagini con le foto e con gli occhi. C’erano due donne americane di colore, madre e figlia e un piccolo, con loro. Erano venuti dal Texas a visitare Auschwitz. "It’s very sad.." ha detto la nonna, due o tre volte, uscendo dalla baracca prigione di Auschwitz. E’ vero. Ma esiste. E vedere è necessario. La scritta, poi, è tornata.

[Per il resto Cracovia è bellissima]

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E Berta filava

Io mi ricordo, ero piccolo piccolo, abitavo ancora con i miei genitori a Mendrisio, loro però erano già grandicelli, mi ricordo che in tutto quel periodo lì, tra l'infanzia e l'adolescenza, per chi è vissuto a Mendrisio diciamo dalla metà degli anni 70 in poi, c'era per tutti, in paese, questa presenza, questa cattedrale laica che ci guardava dall'alto: la vecchia filanda. Enorme e fatiscente abbandonata da chissà quanto, è diventata in un attimo il nostro parco giochi preferito. Ne sentivamo parlare a scuola, la guardavamo passandoci davanti tutti i giorni, cercavamo di scrutarne gli stanzoni, aprendo delle fessure nelle porte o guardando dalle finestre. La vecchia filanda per noi era il luogo dove passare i pomeriggi del mercoledì o del sabato, quasi ci fosse un richiamo della storia.
Poi sono arrivati gli anni Ottanta e tra l'America e la Milano da bere sembrava che la cosa più importante fosse avere un grande supermercato in ogni paese, e magari anche un paio di fast food. Allora la vecchia filanda l'hanno buttata giù in un attimo e ci hanno messo dentro un grande magazzino che a quei tempi aveva un nome, Innovazione, quasi d'avanguardia, adesso invece, il nome, sembra un arto periferico. E noi ancora ragazzini, per tutto il tempo del cantiere, andavamo nello stabile adiacente, anch'esso fatto di stanzoni fatiscenti e abbandonati, che per noi è subito diventato la nostra filanda. Avevamo anche pulito delle stanze, scritto qualche frase sui muri e poi ci han fatto capire colle buone che era troppo pericoloso stare lì, ché cadeva giù tutto. Così abbiamo abbandonato per sempre l'idea di avere un posto tutto nostro e ci siamo preparati alla grande inaugurazione: l'apertura del supermercato. Ai nostri occhi sembrava un sogno anche quello, avremmo avuto un intero reparto per i videogiochi, avremmo potuto vedere i televisori, gli stereo e ascoltare tutti i cd che volevamo a pochi passi da casa.
Adesso io i ragazzini non so davvero che sogni hanno, però mi vien da pensare che le cassandre che dicono sempre che la storia prima o poi si ripete, che bisogna stare attenti, forse ci hanno ragione, ché adesso il posto dove c'era la filanda, e poi per tanti anni non c'è stato più niente, e poi dopo è venuto il grande magazzino, ha vinto di nuovo il vuoto.

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